di Mirella Errico
I materiali artistici hanno un ruolo importante in arte terapia e sono caratterizzati da diverse qualità, di natura sia strutturale che estetico-sensoriale o psicodinamica, caratteristica quest’ultima che consente ai materiali stessi di fungere da attivatori di emozioni o contenuti relativi all’interiorità del cliente. Il materiale artistico è dunque il mezzo attraverso cui il mondo interno del cliente può essere reso visibile al mondo esterno, divenendo così strumento di comunicazione “dal dentro al fuori” e anche promotore del processo creativo ed evolutivo. In arte terapia la materia (sabbia, carta, polveri, tempere, forbici o qualsiasi altro materiale impiegato) è considerata materiale artistico, parte della materia esterna, ma anche materiale inconscio, parte della materia interna, come per esempio materia interna sono i sogni oppure i contenuti che il paziente porta nella sua terapia, per sottoporli ad analisi.
Nella stanza di arte terapia, come sappiamo, la materia intesa proprio nel suo senso fisico è predominante e attraverso di essa può aver luogo una dinamica psichica che coinvolge l’universo interno del cliente e che può procurargli beneficio. Secondo le teorie sostenute da Marion Milner, il materiale artistico possiede infatti la prerogativa di essere esplorato e sperimentato come se fosse un’estensione delle qualità della holding materna. La holding (la parola vuol dire “contenimento”) é una funzione primaria attribuita dallo psicoanalista inglese e pediatra Donald Winnicott a ogni madre sufficientemente adeguata, termine coniato da Winnicott stesso per indicare la madre che sa quando accogliere e gratificare il bambino e quando invece opporre un garbato rifiuto e frustrare “moderatamente” le sue necessità. Il processo mentale che il bambino dovrà compiere sarà quello di accettare la madre nella sua totalità, ovvero buona e non buona allo stesso tempo, ma pur sempre “sufficientemente adeguata”, una madre che sappia rispondere in modo sufficientemente empatico ai reali bisogni del bambino, disilludendolo dal poter ottenere qualsiasi “eccesso” egli desideri realizzare. Per il bambino piccolo infatti, il concetto di eccesso o di “confine di realtà” è inesistente perché tutto ciò che procura piacere non può essere mai considerato eccessivo e la madre dovrebbe essere sempre e totalmente presente e dedicata esclusivamente a lui, senza nessun altro bisogno che le sia proprio (egocentrismo infantile). Quindi il concetto di holding non rimanda alla capacità materna di gratificare sempre il bambino e per tale via “placare” le sue angosce, ma a quella di contenerle proprio perché lei sa che non può gratificarlo sempre. Non può cioè, inevitabilmente, “non farlo mai stare male” e per tale ragione userà se stessa (holding) per rassicurare, confortare e sostenere fino a cessazione del male o fino a che il bambino non è in grado di interessarsi ad altro. Dunque un’azione responsiva, quella della madre, che consente la costituzione, per il bambino, di un clima di fiducia, di accoglienza e di contenimento, in altre parole di “holding”.
Pertanto, in analogia con il concetto di madre sufficientemente adeguata, la Milner afferma che ogni materiale artistico è un pezzo del mondo esterno che è lì per noi e si offre a noi senza chiedere nulla in cambio: come la qualità della madre “buona” esso è lì per noi per facilitare lo sviluppo o il sorgere di una forma partendo dal caos, dal nulla o dall’indistinto oppure dall’apparentemente illogico e incomprensibile. Ma allo stesso tempo il materiale artistico può essere limitante: così come può evocare una situazione gratificante ed apparire risolutivo, esso può anche risultare frustrante e limitante e in questo paragonabile ad una madre non sempre “buona”. Quindi, rabbia e frustrazione, secondo la Milner, possono essere proiettate sul mezzo espressivo (né più ne meno come un bambino farebbe con una mamma che non lo accontenta sempre) e per questo esso può subire la sorte di essere abbandonato dal cliente, che andrà alla ricerca di un altro materiale che meglio corrisponda ai suoi bisogni espressivi del momento. Oppure può anche accadere che il cliente non riesca ad abbandonarlo nonostante non trovi in quel materiale che lui stesso ha scelto, una via d’espressione. In altre parole, sostiene la Milner, il cliente porta sul materiale un intenso investimento libidico (il piacere di esprimersi, di portare fuori il dentro, di arrivare “alla meta”), esattamente come il bambino mette in atto il suo “trasporto” verso la madre, sua fonte non solo di nutrimento, ma anche oggetto di piacere. In altre parole, il cliente nutre verso il materiale artistico, un rapporto transferale, quindi di fronte ad un certo tipo di materiale, egli può reagire in modi diversi, in base a ciò che esso gli evoca in quel momento, egli può sentirsi profondamente immerso oppure rifiutarlo a priori, esserne sopraffatto o avere difficoltà ad accettarlo per la prima volta.
Nelle Arti Terapie Espressive sappiamo che è compito dell’arteterapeuta la facilitazione alla scelta del materiale più idoneo al cliente per le sue necessità espressive, secondo il principio di bassa competenza e alta sensibilità: ma ciò non significa che non dobbiamo mai lasciare a lui l’iniziativa di sperimentare e verificare. Può essere infatti talvolta necessario al cliente passare inizialmente in un dato livello di frustrazione e di proiezione sul materiale dei propri sentimenti difficili, derivanti dall'insoddisfazione per l’impossibilità a creare. L’arteterapeuta interviene dunque solo nel caso in cui il cliente non è in grado di utilizzare il materiale perchè lo blocca e di conseguenza non riesce a comunicare le sue emozioni (positive o negative che siano) mediante quello specifico materiale oppure non riesce a fare “quello che aveva in mente” o, infine, non riesce a impiegarlo “tecnicamente”. Se il cliente manifesta malessere o disagio sta comunicando che ha bisogno di un sostegno per andare avanti, solo in quel caso l’arteterapeuta si rende disponibile e si sostituisce al materiale (che in quel momento non sta assolvendo al suo ruolo facilitante e/o contenitivo), nel ruolo di “madre adeguata” e presenta (suggerisce, indica, etc,) un materiale più tollerabile per il cliente mediante il quale possa relazionarsi in modo più adeguato con se stesso e che gli faciliti il compito creativo. Quindi prima di tutto è importante ciò che il cliente comunica attraverso un materiale specifico e semmai dopo si può intervenire con l’aiuto di un materiale facilitante, ma prima è importante che il cliente senta e viva quello che sta provando: piacere, mancanza di confini, oppure frustrazione, rabbia ecc.. E’ dunque di fondamentale importanza che l’arteterapeuta conosca i diversi materiali nelle loro specifiche qualità strutturali, estetiche e psicodinamiche, perchè il cliente sia in in grado di andare “tecnicamente avanti”, oppure perché possa entrare in contatto con specifiche reazioni emotive o corporee-sensoriali, anche se disturbanti. E’ necessario sottolineare che non esiste un particolare materiale per una particolare tipologia di cliente, ma va sempre valutato caso per caso, sulla base di come il cliente si pone al momento presente o tenendo conto della sua crescita evolutiva, quello che nelle Arti Terapie espressive aderisce al criterio “momento e persona specifico”
Questa è dunque l’essenza della teoria che sottolinea l'aspetto psicologico dei materiali artistici per il cliente: stimolare reazioni emotive, dinamismi interni utili a promuovere sia le capacità del cliente di definire le emozioni che stanno emergendo durante l’esperienza artistica (e imparare a “maneggiarle”!), sia di risolvere problemi pratici legati ai materiali impiegati (problem solving tecnico) e con essi facilitare il cambio di stato emotivo, scegliendo di passare da un materiale “con cui non mi trovo e non riesco ad esprimermi” a un materiale “con cui mi sento più a mio agio e che mi aiuta a dire quello che voglio dire”.
Abbiamo detto quindi che il materiale artistico è non solo un facilitatore del processo creativo, ma esso rappresenta anche un tramite tra ciò che può essere esprimibile (il dentro, la dimensione interna) e ciò che è espresso (il fuori, la dimensione esterna) e nel passaggio tra queste due dimensioni possono sussistere diverse reazioni emotive: di frustrazione, ad es., perché ciò che il cliente considera troppo bello (buono, importante) non sta trovando adeguata espressione grafica e simbolica; oppure di sorpresa, perché l’immagine prodotta è risultata diversa da come sembrava essere “all’interno” o non troppo chiara. Infine il cliente può sperimentare dinamiche di appagamento, perché l’espressione artistica reale di ciò che proveniva “dall’interno” è risultata secondo lui soddisfacente. Qualunque sia la reazione, queste diverse risposte emotive sono una parte necessaria della dinamica del processo evolutivo del cliente (nel senso più generale del termine), mentre l’immersione nel lavoro artistico, il conseguente stato di fusione con l’opera creata e l’emozione (meraviglia, stupore, bellezza, piacere?) per aver dato finalmente forma ad un oggetto esterno, sono invece alcuni aspetti fondamentali del processo creativo in arte terapia. Quando si parla di processo creativo, in arte terapia, si sta parlando degli atti che portano alla creazione di un’immagine: “forma, contenuto e processo, costituiscono un’immagine, essa è simbolo e prodotto estetico” (Maria Belfiore, 1953-2006). Marion Milner (1989), sosteneva come nell’esperienza creativa “la mente sia totalmente concentrata sull'eccitazione per l'oggetto, e che ci si perda in un momento di intensa attività in cui la consapevolezza di sé e quella dell'oggetto sono in qualche modo fuse, e si emerge di nuovo nell'essere separati per scoprire che esiste una nuova entità sulla carta”. L’oggetto artistico emerso, viene anche definito come il “terzo psichico”, ovvero l’entità mentale terza che si interpone creativamente nel dialogo tra l’arte terapeuta e il cliente.
Per poter entrare nel processo creativo, un cliente ha bisogno di due importanti presupposti, che sono riferiti a due diverse dimensioni della vita psicologica: la prima riguarda il “materiale” fornito dall’esterno (stiamo parlando qui, per materiale proveniente dall’esterno, delle circostanze ambientali, ovvero le contingenze, entro cui il processo creativo si svolge). Nelle Arti Terapie espressive, non ci siamo infatti mai stancati di sottolineare l'importanza assunta da ambienti non giudicanti, accoglienti e adeguati allo sviluppo delle potenzialità creative, ambienti contenitivi, ovvero in grado di fare da “holding” delle preoccupazioni portate dai clienti e di provvedere al necessario decentramento creativo. La seconda categoria riguarda la vita emotiva e interiore del cliente, la quale può essere da lui stesso approcciata attraverso due differenti dimensioni tipiche del processo arte terapeutico: quella dell'immaginazione e quella della cognizione amorfa. L’immaginazione è qui intesa come la capacità della nostra mente di utilizzare nessi “non logici” per andare oltre le potenzialità limitate della mente lineare, in uno stato di costante attivazione di funzioni simbolizzanti la realtà che non può ancora essere né pensata né comunicata con le parole. E’ la realtà del nostro universo interiore a noi sconosciuto e non ancora disponibile se non nella forma di immagini inconsce, che come accade per i sogni, potranno prima prendere forma simbolica e poi essere significate e disvelate mediante la pratica dell’arteterapia (in specie nella fase integrativa). Mentre la cognizione amorfa è il pensiero che si produce senza forma, privo di concretezza o riferimento al reale, perché appartiene ad un periodo della vita in cui il pensiero è ancora preverbale e primitivo e può dare origine solo a degli endocetti, ovvero a concetti arcaici corrispondenti a modi primitivi di organizzare le esperienze e le percezioni, che sfuggono alla nostra coscienza in quanto ci mettono in contatto con parti di noi intime e profonde, di cui non vorremmo neanche conoscere l’esistenza. Gli endocetti sono dunque “oggetti interni parziali”, protopensieri senza forma e frammenti di psichismo risalenti a periodi della vita infantile prima dei 24-36 mesi, periodo in cui la mente non è in grado di organizzare le esperienze vissute ed è l’esperienza sensoriale e procedurale (i modi di stare-con-gli-altri-e-con-il-mondo attraverso il corpo) a costituire il nucleo primario fondante la personalità e i modelli di relazione con gli altri significativi e il mondo. L’arte terapia che consente la sperimentazione delle qualità estetiche e sensoriali dei materiali durante la creazione artistica, può favorire il contatto con quella parte primaria della vita emotiva che è fatta di sensorialità, reazioni e impressioni fisiologiche dovute al contatto con la materia corporea di sé e degli altri. I materiali artistici, come la maggior parte degli oggetti reali impiegati nelle Arti Terapie Espressive, oltre a consentire l’esplorazione delle qualità simili (per es. oggetto morbido o soffice mi permette di sperimentare le mie qualità di morbidezza, etc.), diventano dunque anche oggetti psicologici transizionali, ovvero tramite le loro qualità sensoriali ed estetiche “stanno al posto di un’altro significativo del passato del cliente”, riattivando le memorie dei modi primari di stare in relazione con quelle figure e provvedendo a quelle attività psichiche correttive (“ricordare, ripetere, rielaborare”) che si rendono necessarie per modificare, curare, sanare, guarire qualcosa che non ha funzionato o non è stato sperimentato a sufficienza. Si pensi a clienti che non hanno potuto sperimentare a sufficienza il contatto fisico contenitivo, affettivo e rassicurante con le figure di cura (una “holding” non ben riuscita dunque!), quale vantaggio possono trarre dalla manipolazione e sperimentazione delle qualità fisiche e sensoriali di taluni materiali artistici. Un materiale può portare a sperimentare sensorialmente aspetti di sé deprivati di cui non siamo coscienti: si pensi al piacere di spalmarsi la tempera sul corpo, quando si percepiscono fragili i propri confini corporei, come faceva J. una piccola paziente che ho seguito durante un percorso in una struttura per minori in disagio.
Le caratteristiche psicologiche dei materiali non attengono dunque soltanto alla loro capacità di diventare per i clienti strumenti di proiezione dal fuori al dentro, dall'internalizzazione all'esternalizzazione, ma anche a quelle di rimettere in vita tutto ciò che è primario, sensoriale e procedurale, che viene prima della capacità di rappresentarsi le esperienze e di intervenire con la mente. I materiali in arte terapia possono aiutare pertanto a recuperare quella parte dell’esperienza di vita del cliente (tra 0 e 24-36 mesi) che non è né simbolizzabile né analizzabile a posteriori, perché non è stata mai organizzata neanche in immagini inconsce (se non c'è mente fino a 24-36 mesi, non c’è neanche inconscio). Ciò corrisponde a quella parte del processo creativo in cui non è l’immagine prodotta ad essere predominante nel percorso evolutivo del cliente, bensì l’esperienza fisica ed estetica con la materia che favorisce la regressione all’esperienza fisica ed estetica primaria con le figure di cura e con il più generale ambiente mondo. Per molte persone, la capacità psichica di riflettere sugli eventi che ci accadono sulla base dell’esperienza corporea e sensoriale (“comprendo anche grazie a ciò che sento e di quel sentire mi fido”) è andata perduta o è inibita. Il cervello funziona per lo più in modalità primaria, sensoriale, attraverso processi di pensiero primari (sensoriali, fisiologici ed emotivi) ma senza consapevolezza dei medesimi e senza una combinazione con i processi secondari (riflessione). L'arte e i suoi materiali artistici, facilita l'espressione in modalità primaria, bypassando il problema della non pensabilità e della conseguente non comunicabilità dei contenuti interni, fino a quando, all’interno dello spazio sicuro della stanza di arti terapie, anche la mente che fa l’esperienza (Io-attore) e la mente che riflette sulla stessa (Io-Osservatore), saranno in grado di attivarsi congiuntamente e produrre intuizioni e altri atti di consapevolezza di sé (quello che nelle Artiterapie Espressive chiamiamo harversting, ovvero la “raccolta” dei significati).
Bibliografia
R. Caterina, Che cosa sono le Arti Terapie, Carocci, 2005
C.Malchiodi, L’arte che cura, Giunti, 2009
Stephen K. Levine and Ellen G. Levine, Foundations of Expressive Arts Therapy, Theoretical and Clinical Perspectives, Jessica Kingsley Publishers, 1999
Paolo Knill, Ellen G. Levine and Stephen K. Levine, Principles and Practice of Expressive Arts Therapy, Toward a Therapeutic Aesthetics, Jessica Kingsley Publishers, 2005
Milner M. (1989): La follia rimossa delle persone sane, Borla, Roma 1992.
Milner. M. Non poter dipingere, Borla, Roma, 2010.
Mancia, M. (2006b). Implicit memory and early unrepressed unconscious: Their role in the therapeutic process (How the neurosciences can contribute to psychoanalysis). International Journal of Psychoanalysis, 87(1), 83-104.
Daniel L. Schacter Basic Books (1996), Searching for Memory: the brain, the mind, and the past.
Mirella Errico autrice, Nicola Sensale editing, 2018, Riproduzione integrale non ammessa senza esplicito consenso degli autori. Consentite invece le citazioni purché adeguatamente indicate.